L’autentica ricetta palermitana dei babbaluci

L’estate è alle porte ed è tempo di babbaluci, le lumache, un piatto gourmet della migliore tradizione siciliana, che prevede la sucata per gustarle meglio

“…dell’immenso piacere del suggere l’invertebrato e di altre singolarità connesse al culto pagano del gastropode…”

La ricetta tutti la conoscono, ma quella vera si tramanda gelosamente da padre in figlio. All’apparenza è facile. 

“E che ci vuole!” direbbe uno che non le ha mai cucinate…Prendi le lumache, le fai bollire a fuoco lento e poi ci aggiungi la “conza”. “E che ci vuole!”

 

Invece ci vuole, eccome se ci vuole…

Intanto va detto che “u babbaluciu”, sembra stupido, ma ha una sua raffinata psicologia.

Forse perché viscida ed ermafrodita insufficiente, la lumaca ha già tanti casini da se stessa che l’essere bollita “ci pari palicu”. Per riprodursi, infatti, questo strano invertebrato – pur avendo entrambi gli apparati – ha bisogno di un consimile che lo feconda e dal quale resta fecondato. 

 

Mizzica che confusione!..

Già a saperlo e per non complicargli la vita, si eviterebbe di mangiarle. Ma, siccome la natura quando si accanisce non ha misura, ebbene i guai non si fermano qui.

 

La lumaca, infatti, è quadriplicemente cornuta.

 

Insomma, sensibilità frocia o risentimento da protuberanze, è facile “ritirarisi ‘a casa e un nesciri chiù“. Tanto più quando la casa te la porti addosso senza possibilità di sfratto.

 

Ecco, quindi, la prima bravura: spiegare al mollusco che deve uscire e non rientrare più.Tutto ciò mentre il calore della fiamma fa dire loro “attùpati… attùpati”.

 

Non è cosa da poco perché è da questa fase che dipenderà il sacro rituale della sucata. Ammettiamo che sia andata bene e che tante piccole corna bollite si vedano in pentola.

 

È solo la prima parte della ricetta che, miracolosamente, si compie…

 

In un’altra pentola avete messo a scaldare tanto olio d’oliva con l’aglio incamiciato. Alcuni vi fanno sfumare il vino, ma fa tanto nouvelle cuisine e non ci siamo abituati. Il pomodoro fresco deve essere di quello buono, altrimenti fa solo zuppa.

 

E poi prezzemolo tritato, tanto quanto un cespuglio. 

 

E pepe macinato fresco, “comu na timpulata” di Mohamed Alì.

 

L’unione tra i gastropodi viscidi, ermafroditi, cornuti e bolliti con la “conza” deve essere come l’incontro di due amanti a primo giro tango: appassionato e indissolubile.

 

Viene adesso il rito pagano della sucata.

 

Il canino buca leggermente la conchiglia e l’aspirazione apre l’infinito olfattivo.

 

La sucata del babbalucio è una delle più antiche arti pagane.

 

Le nobildonne panormite (quelle, per intenderci che chiamano la salsa di pomodoro a crudo con l’insaziato appellativo di pik-pak) non sanno fare la sucata e usano lo stecchino.

 

Sono le femmine che un autoctono mai sposerà…

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