Flowing Free dedicata al coraggio delle donne iraniane

La scultura digitale dell’architetto e designer Tim Fu, pensata per essere posta nella piazza principale di Teheran, rappresenta un simbolo di riscatto per le donne iraniane che lottano per la propria libertà

Masha Amini, originaria del Kurdistan iraniano, in vacanza a Teheran con la famiglia, era una ragazza di 22 anni con tanta voglia di vivere e sapere. In Iran, dopo la rivoluzione khomeinista del 1979, è obbligatorio per le donne indossare il velo in tutte le uscite pubbliche. Qualche ciuffo ribelle della folta capigliatura di Masha è però saltato fuori dal fazzoletto che le copriva il capo, per questa ragione è stata arrestata dalla polizia morale iraniana, portata in caserma per “una lezione di rieducazione”, picchiata a sangue e deceduta in ospedale dopo tre giorni di coma. Un pestaggio mortale per delle ciocche fuori posto, un omicidio di Stato per aver indossato “un hijab in modo improprio”. Da quel momento donne di ogni età sono scese in tutte le piazze dell’antica Persia e in tutto il resto del mondo, protestando contro la violenza del regime degli ayatollah.

La nuova scultura di Tim Fu “Flowing Free” è un progetto digitale che l’architetto spera possa diventare un’opera simbolica posta nella piazza principale di Teheran, in quella che ha definito la “democrazia post-musulmana” del futuro. Il lavoro neo-futurista di Tim Fu utilizza i capelli delle donne iraniane come simbolo di femminilità e ribellione e dimostra quanto le nuove tecnologie siano oggi in grado di rimodellare il ruolo del design architettonico, utilizzando l’intelligenza artificiale come strumento di esplorazione virtuale.

Ispirandosi al coraggio delle donne iraniane, Tim Fu ha creato questa scultura digitale per celebrare la loro determinazione nella lotta contro il regime autoritario. Dopo la morte di Mahsa Amini, le iraniane per rivendicare il loro diritto alla libertà si tagliano i capelli in segno di protesta.

Da sempre, fin dall’antichità, i capelli delle donne, lunghi o meno che siano, sono simbolo di femminilità, seduzione e libertà. Ma anche di libertà negata. In molti Paesi infatti le donne sono obbligate a indossare il velo (nelle sue declinazioni) proprio per coprire quella parte del corpo segno di “scapigliatezza” e indipendenza. “Correre con le chiome al vento” è un’espressione che indica proprio una sensazione di libertà, di ribellione, un desiderio di autonomia. E per questo viene considerato pericolosissimo in Iran, un reato che si paga con la vita.

L’uso di far coprire alle donne i capelli con un velo non ha niente a che vedere con la religione islamica, infatti non esiste nel Corano uno scritto che imponga l’obbligo di velarsi il capo, si trova solo la raccomandazione per le donne di coprire le parti belle e per gli uomini di coprire invece le gambe, tutto ciò per aderire a una forma di decoro pubblico. In Iran e nei paesi di religione islamica tagliarsi i capelli è segno di lutto. Per questa ragione, in memoria di Mahsa, le donne iraniane hanno iniziato a protestare tagliandosi i capelli e bruciando gli hijab nelle strade, contro la rigida applicazione del governo della legge sul velo. Proprio quel velo che, messo non correttamente, ha provocato la morte della giovane Mahsa.  

In segno di solidarietà numerosissime donne comuni, della politica, della cultura e dello star-system manifestano ogni giorno tagliandosi una ciocca di capelli ribadendo il diritto di ciascuna di camminare con i capelli al vento, o più semplicemente fuori dal velo. Dal Maxxi di Roma, alla Camera dei Rappresentanti a L’Aia, nei Paesi Bassi, alla Triennale di Milano, fino alla piazza del Politeama di Palermo dove è stato organizzato un flash mob, è in crescita l’ondata di proteste organizzate e rilanciate anche grazie alla Rete.

Il taglio delle ciocche simboleggia la rabbia ed è seguito spesso dalle parole “Zhen, Zhian, Azadi”, “Donna, vita, libertà”, slogan delle proteste che risuona da giorni nelle piazze iraniane e in tutto il mondo.

In queste ore la contestazione si è spostata on line con video di solidarietà e l’hashtag #MahasaAmini. 

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