L’odore di gelsomino e di lavanda si insinua ovunque: fra le mani, tra le trame del lino dei tuoi abiti, fra i capelli. Se cammini dal molo di arrivo fin su nelle stradine strette, ricolme di fiori e abbracciate da muretti bianchi, senti un senso di umana appartenenza.
Attraversi le boutique con i parei che sorridono appesi e i sandali “fatti apposta per te” da un artigiano del luogo e una donna che ti invita a provare, come Cenerentola, quello che ti calza a pennello. E poi gli alberghi con le lanterne di candele accese, con fimmine che accolgono, gestiscono, sorridono, madri di grandi famiglie che in quell’istante di calore e accoglienza, sono anche la tua. E così camminando incontri la bottega del posto, dove mani femminili dirigono il traffico alimentare, fra fichi freschi e pomodori, con la maestria dei direttori d’orchestra per finire qui dove sono io adesso, a parlare con lei, Mariella, figlia di madre, amica di amiche figlie, con sette sorelle a loro volta, con madri e madri di madri.
Una comunità di donne al timone di un’isola che porta un nome di donna e che della donna porta la forza.
Mariella gestisce un ristorante, “O’ Palmo”, dove il Cous-Cous ha il sapore del grano e delle mani che lo “incocciano” con passione. Dove il pesce profuma di vita, di onde, di donna, di “ben di Dio”, come afferma lei.
“È un’isola matriarcale, è vero. -dice Mariella-ma non per volere dell’uomo, per volere di Dio.
-In che senso di Dio? –
“Si, qui ogni donna è una di cinque femmine quando non di più. Le attività sono sempre state gestite da figlie di madri che a loro volta gestivano le trattorie, coadiuvate talora da uomini, certo, ma gli uomini hanno sempre pescato. Le figure principali nel lavoro, nelle trattorie allora come adesso, sono sempre state le madri, e prima le nonne, anche per me è stato così. Qui si è usato solo ed esclusivamente pesce pescato in questo mare ed è sempre stato pescato da uomini e offerto dalle donne, dalle madri, dalle nonne. Il rifornimento lo portava l’uomo, in passato così come adesso, ma a guidare e gestire l’alveare è stata sempre la donna”.
-La donna “nutre” e l’uomo “disseta” dunque? –
“Si in senso metaforico è così.
Sono le donne che con l’andare dei tempi hanno preso le redini della gestione di trattorie ed attività ricettive. L’uomo è presente ma il timone è femmina ed è una cosa normale. L’uomo si fida e si affida alla sua compagna nei rapporti verso l’esterno, il rapporto umano, l’accoglienza è prerogativa delle donne. L’uomo è sereno- sorride Mariella-
Panarea è femmina ma è una casualità, -insiste Mariella- è un dono di Dio, tante figlie femmine ne fanno “l’isola delle femmine” per eccellenza anche se la Sicilia ne possiede già una.”
-È vero…-annuisco io-Mi piace pensare che quest’isola accolga l’umanità come solo la donna, figlia madre o nonna che sia, sa fare. Mi piace pensare che ci sia una magica protezione nei confronti della donna, e che per volontà divina in quest’isola nascano tante donne che nutrono a loro volta con volontà e sorriso, con il lavoro dei loro uomini, chiunque vada a trovarli. Come ha fatto Mariella con me con il suo indimenticabile Cous-Cous che sa di odori, sapori e braccia che lavorano.
“Anticamente l’isola di Panarea veniva chiamata Euonùmos cioè “di buon augurio, sa? È un’isola di semplicità e pensieri buoni.
Lei quanto si ferma qui da noi?
-Purtroppo resto poco, vado di fretta. –
“Peccato. Lei è a Panarea. Qui non si corre, si sta a piedi scalzi, si parla e si guarda la luna.
La donna e la luna qui, non vanno mai di fretta.”