Studiare meccanica e diventare Chef di fama internazionale: una vera storia di Sicilia a base di pomodoro e cipolla.

Alcune storie hanno la forza di emozionare ed ispirare non tanto per quello che raccontano, ma per quello che nascondono sapientemente tra le pieghe del racconto.

Sono storie semplici ed efficaci, e non capisci perché non ti stancheresti mai di sentirle raccontare finchè non realizzi che non è la storia il punto, ma le forze che la animano e la rendono unica e speciale.

La storia in questione è quella di un ragazzo che lascia l’entroterra povero della Sicilia e la famiglia di onesti lavoratori rurali alla scoperta del mondo. Parte da Galati Mamertino, una comunità che oggi vale circa 2000 abitanti sui Nebrodi, ed arriva a Los Angeles. Qui nell’arco di una vita quel ragazzo crea la cultura della cucina italiana e siciliana in questi luoghi e con l’aiuto dei fratelli costruisce un piccolo impero che vale una decina di ristoranti tra i più rinomati di Los Angeles, aperture a Dubai e negli Emirati Arabi, circa 800 dipendenti, e fatturati nell’ordine di diverse decine di milioni di dollari.

Questa è la storia in breve, con tanti risvolti che ne farebbero la trama di uno straordinario film. Il giovane infatti si reca a Pisa per diventare perito meccanico, ed è anche bravo al punto da ricevere una proposta di lavoro, una delle due uniche proposte arrivate agli oltre 200 studenti. Lui la rifiuta. Per pagarsi gli studi aveva iniziato a fare il lavapiatti in un ristorantino di Pisa, e nel giro di poco tempo era entrato in cucina, per poi finire a gestirla. Scelse la via della cucina contro quella del posto fisso.

Il giovane mette cuore in quello che fa, sperimenta, studia, si distingue. Riceve un giorno la proposta di lavoro per un ristorante a Los Angeles, un biglietto di andata ed uno di ritorno, nel caso si trovasse male. Non dice nulla a casa per paura di non ricevere l’approvazione. Il biglietto di ritorno non l’ha mai usato, sebbene torni in Italia ogni anno.

Mi piace pensare che lo conservi ancora da qualche parte, misura di una vita che con meno coraggio, fiducia in se stessi e voglia di conoscenza sarebbe potuta andare diversamente.

Quanti biglietti di ritorno ciascuno di noi utilizza, nei momenti di sconforto, nelle difficoltà, nelle paure.

Invece nel racconto pacato di Celestino, cosi si chiama l’uomo che fu quel ragazzo, tutto è andato avanti semplicemente per come doveva, ed ogni ostacolo, avversità, truffa ricevuta, scivola dolcemente nel racconto, quasi non fosse esistita in questo lungo viaggio nessuna reale avversità. La cosa che più di tutte colpisce è la totale assenza di autocelebrazione. In un’epoca nella quale tendiamo a gridare al mondo ogni nostro singolo successo, per apparire forti e sicuri di noi stessi, Celestino appare forte e sicuro di se nascondendoli.

Eppure è facile immaginare quanto sia stata dura, passo dopo passo, scelta dopo scelta, per un ragazzo dell’entroterra siciliano che non parlava alcuna lingua straniera, trovarsi una delle più ricche e competitive città del mondo.

La conversazione durante il pranzo si muove tra le ricette del papà, i racconti sull’infanzia a Galati Mamertino, le intenzioni che ancora lo spingono a provare e sperimentarsi. Come quella di volere produrre il miglior vino della zona, detta mentre indica il suo vigneto. Mentre lui lancia la sfida a se stesso noi già sappiamo che quel vino già esiste. Esiste nella sua testa, come è esistito li tutto quello che ha realizzato prima di realizzarlo. Probabilmente è questo che fa apparire semplice lo svolgersi del racconto, ed il fatto che Celestino con le sue scelte abbia di fatto determinato quelle dei fratelli che con lui oggi condividono sfide ed impresa. Come quando tornò ed iscrisse il fratello Calogero alla scuola alberghiera per poi portarlo con se a Los Angeles. Celestino ha un progetto, che è probabilmente la cosa più difficile da concepire per un siciliano.

La forza di questo racconto è sostenuta da fatti invisibili, e sono soprattutto le emozioni che percepisci nei racconti dei fratelli, Giacomino, che oggi condivide con Celestino le aperture dei ristoranti in giro per il mondo, e non fa nulla per nascondere l’immensa ammirazione per il fratello maggiore.  Tanino, il più discolo, e Pino che è rimasto a Galati Mamertino ad occuparsi dei genitori. A Los Angeles c’è anche Calogero, il fratello iscritto all’alberghiero a sua insaputa, che non ho mai avuto il piacere di incontrare, e la sorella Carolina che condivide con il marito Armando, anche lui a Los Angeles le avventure della famiglia Drago.

Quando chiedi a Celestino le ragioni del suo successo, per lui è indiscutibile che ha vinto il gruppo, e senza la fortuna di una famiglia numerosa di cui fidarsi ed a cui affidarsi, senza i fratelli che sono stati più che soci, compagni di avventura, tutto questo successo non sarebbe stato possibile. E da un leader di questo calibro non avremmo potuto aspettarci diversamente. Scriveva d’altronde Mandela che il leader segue il gruppo, e non lo precede.

Parlavamo delle pieghe del racconto. I veri motori di questa storia sono la curiosità ed il desiderio di conoscenza, che è anche l’interesse genuino per l’altro. Senza questa spinta Celestino non avrebbe esplorato, creato relazioni, agito.

E soprattutto il legame forte con le origini, i luoghi e le persone dell’infanzia. Un legame talmente forte che rende quei luoghi ali e non legacci.

E questo è forse il punto di svolta, la chiave di lettura differente di questa storia, che merita di finire sulle pagine di un romanzo proprio per questo. Celestino Drago, il ragazzo oggi chef di fama internazionale, mantiene un legame forte con la sua terra di origine, torna ogni anno e da questo legame alimenta la sua impresa, la sua arte, i suoi successi. Ma è, si sente ed agisce da cittadino del mondo e di Los Angeles. I suoi ricordi ed i suoi racconti non sono mai malinconici, lo sguardo non è sulla distanza come mancanza, ma è sulla distanza che apre opportunità e punti di vista nuovi, per se e per gli altri. Come l’insalata pomodoro e cipolla, che forse racchiude veramente il senso di questa storia.

Quando ci siamo incontrati a New York Celestino mi ha raccontato che a casa loro ancora oggi non manca mai ad ogni pasto l’insalata pomodoro e cipolla, la pietanza preferita del padre. Una pietanza che preparavano per se stessi a fine servizio al ristorante. Quella pietanza è diventata nel tempo uno dei piatti più popolari e richiesti della loro cucina, con l’aggiunta del pane raffermo secondo tradizione Toscana diventa la panzanella.

La pietanza che preparavano quasi a mantenere un legame con casa diventa a Los Angeles una grande occasione per raccontare la Sicilia e l’Italia, e perchè no, per produrre reddito, diventando finanche il nome di un ristorante del gruppo.

In questo pranzo, pieno di racconti e ricco di ispirazioni ed emozioni con la famiglia Drago, ad un certo punto compare a tavola l’insalata cipolla e pomodoro. La noto subito tra le portate. Ho avvertito un brivido, più di quanto avrebbero potuto fare mille parole ho avuto la conferma che quella di Celestino è una storia totalmente vera, è questa in realtà la ragione per la quale non smetteresti mai di averla raccontata.

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