Giovanni Salvo, il poeta irriverente nella terra di Sciascia

Nell’agrigentino, Giovanni Salvo non si nasconde più dietro l’anonimato ma pubblica sulla piazza virtuale di facebook i suoi versi, mettendo nero su bianco la storia non ufficiale del suo paese, Racalmuto, patria di Leonardo Sciascia e non solo…

Nel Settecento erano considerati veri e propri novellieri del popolo. Giullari che raccontavano delitti, politica, storie di corna e di tavernieri. Erano i cantastorie e molti di loro erano poeti irriverenti che con poche righe delineavano un fatto, svelando peccati morali e privati di chi stava al potere. Con i versi in dialetto che un tempo, in molte città dell’isola, animavano il dibattito pubblico, raccontavano vicende del popolo oppresso e illuso.

Poesie che spesso circolavano nelle piazze, nelle sagrestie, nelle sale da barba, nei caffè, nei salotti e nei circoli di conversazione. E sempre anonime, mai firmate. Infarcite di buona conoscenza del dialetto satirico, hanno rivelato la vita di intere comunità, pettegolezzi e indiscrezioni di sindaci e consiglieri comunali, notai e monsignori. Uno strumento per deridere personaggi e vizi pubblici.

Sono ormai rari gli esempi in Sicilia di una tradizione antichissima, che molto attiene allo spirito dei siciliani. Pochi, pochissimi i “poeti irriverenti” rimasti.

Nell’agrigentino, Giovanni Salvo non si nasconde più dietro l’anonimato e anzi, pubblica sulla piazza virtuale di facebook i suoi versi, mettendo nero su bianco la storia non ufficiale del suo paese, Racalmuto, la patria di Leonardo Sciascia (e di Gaetano Savatteri, autore dei noti racconti di Màkari) la cui ironia attiene proprio allo spirito racalmutese, popolo scettico e disincantato che ha sempre creduto nei “colpi di penna” che come la spada colpisce e segna le ingiustizie e le imposture.

Se lo chiami poeta, mette subito le mani avanti. Ma in fondo un po’ gli piace, perché sa di essere uno dei pochi rimasti a scrivere rime pungenti come le pasquinate di una volta, quelle che giravano di casa in casa.

 

Nella terra degli eretici Sciascia e fra Diego La Matina, lui continua a bacchettare chi sta sul piedistallo (Ed arriva puntuali/lu rimpastu comunali/S’ammiscanu li carti/ppi ccu resta e ppi ccu parti… Lu cittadinu ca subisci/stu barzellu spissu crisci/sempri gruossu è lu tributu/ppi’ lu populu curnutu), o a raccontare la cronaca, anche culturale, sempre attraverso le rime. Come ha fatto quando ha parlato della “Strada degli scrittori” ideata da Felice Cavallaro o recensito Amuri di Catena Fiorello, poesia da lei stessa letta sempre sui social.

“Sono cresciuto in un paese di personaggi più o meno illustri che ci hanno trasmesso il loro sentimento attraverso le rime – racconta Salvo – Parlo di poeti come Giuseppe Pedalino Di Rosa, amico di Natoli e Buttitta, Achille Vinci, Alfonso Scimè, Salvatore Garlisi e tanti altri. Nomi di siciliani meno noti rispetto ai grandi narratori, ma tasselli importanti delle microstorie della nostra terra. Una ventina di anni fa, quando ero consigliere comunale a Racalmuto, con il mio amico Gigi Scimè uscivamo dall’aula consiliare e buttavamo giù i versi che raccontavano alla gente tutto quello che non si poteva dire. In forma anonima, naturalmente. Da allora non mi sono più fermato. Cambiano i tempi, però. E per far arrivare a tutti, soprattutto ai più giovani, queste cronache rimate bisognava aggrapparsi ai nuovi mezzi di comunicazione. Così la tradizione continua”.

 

Convinto com’è che la poesia satirica ha sempre un ruolo nella vita di una comunità, grande o piccola che sia, Giovanni Salvo, 57 anni, impiegato pubblico, ci racconta la tradizione: “Certamente, ieri come oggi, attraverso queste poesie emergono congiure politiche che altrimenti resterebbero solo nelle segreterie o nei palazzi del potere. La poesia irriverente ha rappresentato negli anni passati, almeno a Racalmuto, una necessità, un mezzo utile a rafforzare la comunicazione, una esigenza che sembra essere stata avvertita solo da un pubblico appassionato. Oggi queste poesie circolano sui social, un tempo tutto partiva dal Circolo Unione, frequentato anche da Sciascia, che era il covo dell’ironia, e dunque era la centrale di smistamento dove arrivavano le quartine battute a macchina che poi si diffondevano in tutta la piazza, nel paese”.

 

Passeggia nella sua Racalmuto, si ferma a guardare il campanile della chiesa del Monte, le fontane, le torri del castello Chiaramontano. Anche a questi luoghi ha dedicato tante poesie – molte delle quali finiranno presto in un libro – memoria di un paese e dei suoi paesani: “Nun sulu sali ‘nni stu paisi ardusu/ca l’arabi cci ficiru un dammusu/Ricordu di funtani e di lavanneri/la memoria regna forti e pari ajeri… Tra li viuzzi s’ergi lu Cannuni/casteddru cu sutta un funtanuni/La Parma, quartieri di forti fidi/lu Munti suvrasta, lu cori arridi./La casa di lu scritturi a cantunera/immagina la vita, la storia torna vera”. A Sciascia, maestro dell’eresia e dell’ironia, ha dedicato tanti versi. Un omaggio al concittadino illustre che passeggia ancora nella sua Regalpetra: “…E la genti nun ti scorda/la tò vuci pariva stanca/La Sicilia s’arricorda/lu scritturi ca ora manca…”.

 

Dalla vita della sua comunità assorbe malumori e inquietudini, scetticismo e rassegnazione: “Ci vorrebbe un poeta irriverente in ogni angolo della Sicilia, anche nel più piccolo – dice – e probabilmente capiremmo meglio i mali della nostra regione. Anche perché, come diceva Sciascia, per saperne di più della grande Storia dobbiamo conoscere bene quella piccola”.

Si diverte, cerca rime, scrive. Fa il poeta. Ci ha preso gusto e ha salvato così un’antica tradizione. E a MadeinSicily regala questi versi:

“Lu cori accussì pittu/comu la Sicilia a tri punti/Ca l’arduri ‘mpettu tegnu/terra d’amuri e di raccunti… Li scrittura ‘nni ficiru minnitta/lu Gattupardu sempri torna a menti/l’amuri ca ancora m’appititta/canciari tuttu, ppì nun canciari nenti?”.

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