Editoriale

Cari lettori,come sapete

 

 non si occupa di politica né di giudiziaria, abbiamo scelto altri colori della cronaca, ma oggi, 12 giugno, è una domenica speciale, una domenica di elezioni amministrative per rinnovare 120 Consigli comunali e circoscrizionali; per i ballottaggi si dovrà invece attendere domenica 26 giugno. In questa giornata si voteranno anche 5 quesiti referendari abrogativi che riguardano il tema della giustizia, un tema importante che riguarda tutti i cittadini. I referendum per essere validi richiedono la partecipazione  della metà più uno degli aventi diritto al voto.

 

Il quorum non è per niente scontato, resta un’incognita. Ma il voto è un diritto conquistato duramente, quindi mi permetto di darvi un consiglio: andate a votare.

 

Esprimere il proprio parere non è mai una perdita di tempo, la democrazia è un bene prezioso e non possiamo darla per scontata, va curata e tutelata. Votare è una delle forme di libertà individuale più importanti perché dà voce alle nostre idee.

 

Tra i Comuni che andranno alle urne ci sarà anche Palermo, la città più importante della Sicilia sotto numerosi aspetti, dove a Palazzo delle Aquile si insedierà il nuovo primo cittadino. L’edificio, voluto da Federico II d’Aragona, alla fine del Quattrocento, chiamato un tempo palazzo Senatorio, si trova poco distante dai Quattro Canti e si affaccia sulla magnifica piazza Pretoria, con la fontana di Francesco Camilliani, simbolo della città.

 

Ed è proprio questa piazza con le sue statue della “vergogna” che mi offre l’occasione per presentarvi l’opera dell’artista Momò Calascibetta.

 

In questa domenica ad alta tensione, che dondola tra speranze e paure, in trepidante attesa di conoscere il nome del nuovo sindaco di Palermo, città bellissima e senza pace, capitale di cultura e troppo spesso anche centro indomito di spudoratezza e misfatti, l’opera “Fontana della Vergogna” cade a pennello.

 

Il dipinto di Momò Calascibetta, artista di cui parleremo più approfonditamente la prossima settimana alla vigilia della sua mostra a palazzo Riso, mette in relazione il palazzo Pretorio, le divinità scultoree e la folla dei suoi personaggi grotteschi e strampalati, con donne volgari e dalle carni opulente che si muovono tra l’acqua della fontana e uno zoo di animali reali e immaginari. L’intento dell’artista palermitano vuole essere quello di svelare due mondi “colpevoli di autoalimentarsi e automantenersi in rapporti equivoci e sedimentati storicamente”.

 

Nell’opera si evidenzia lo stereotipo malinconico che ci appartiene – ma dobbiamo avere il coraggio di ripudiare – che non prevede colpi di scena, non ipotizza sorrisi e gioie, non osa immaginare la possibilità del nuovo, del buono, e del bello, del futuro felice. Tra l’altro nel dialetto siciliano manca proprio il tempo futuro dei verbi…

 

Come scrisse Philippe Daverio, nel 1989 a proposito dell’opera di Calascibetta: 

“Gli attori di questo dissennato carnevale sono politici e criminali, dame dell’alta società, nobili decaduti e prelati, intellettuali e artisti che tessono rapporti inconsistenti dentro una babilonia disperata… un’umanità vacua e disfatta, verminosa e potente, menti infide e incartapecorite che mal sopportano frammenti di virtù civili nel salotto cafone e putrido della piazza siciliana. I personaggi della fontana sono attori del fuoco fatuo della mondanità e si confondono in un labirinto di umanità abortita. C’è esuberanza nel destino di questa immagine, una forza tale da cancellare tutto ciò che di misero c’è nel mondo. E’ un canto che si esaurisce in un grido, è miasma e colore, pania e marmo che scaraventa l’anima nel disastro”.

L’augurio che faccio alla Sicilia e a Palermo, città che mi ha accolto ventidue anni fa, che odio e amo con passione, è di avere domani alla guida delle 120 comunità delle figure politiche coraggiose, capaci, generose, perseveranti e perbene. Votare è un privilegio e il modo più civile e pacifico per farsi ascoltare. Il cambiamento dipende solo da noi e ognuno deve fare la propria parte.  

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