La mostra curata dagli studenti del Seminario in Progettazione Curatoriale tenuto dalla professoressa Valentina Barbagallo per il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Catania.
Dopo aver seguito le lezioni, volte a fornire conoscenze teoriche e pratiche, gli studenti si sono occupati dell’intera organizzazione della mostra con la supervisione dei fondatori di Balloon Project, il progetto culturale di giovani professionisti siciliani, nato nel 2012.
L’esposizione presenta una serie di lavori che Triolo ha realizzato durante il soggiorno catanese, su vari supporti, talvolta improvvisati, raccolti all’interno di una sorta di diario di viaggio che racconta una “passeggiata” immaginaria per le vie di Catania.
Antonino Triolo è originario di Gand, cittadina del Belgio settentrionale, dove ha frequentato la Kunsthumaniora Sint-Lucas, iscrivendosi al corso di Formazione Visiva e Architettonica. Il suo nome tradisce però quello che è il suo legame con la Sicilia. Il padre, infatti, è originario di San Michele di Ganzaria, un comune in provincia di Catania e, questo, l’ha inevitabilmente influenzato. “Attraverso la dimensione dello schizzo, del segno e della stilizzazione – come spiegato all’interno del testo curatorale – Triolo mostra di saper giustapporre il sintetismo e l’horror vacui di cui spesso si serve per rappresentare scenograficamente città e abitanti nelle forme più disparate”.
Antonino Triolo si è specializzato presso la LUCA School of Arts in Disegno e Grafica. Durante il suo terzo anno aderisce al progetto Erasmus per trascorrere un anno a Venezia che gli fornisce numerosi spunti, inoltre, in Italia scopre i pennarelli Giotto Turbocolor che saranno per lui fondamentali per la realizzazione dei suoi lavori. Dopo la laurea prende parte all’Erasmus+ che gli consente di svolgere uno stage con Balloon Project, grazie al quale realizza un libro per il progetto ACINQUE e questa mostra.
La Fondazione Brodbeck si trova in quello che un tempo era zona industriale; ha sede in un complesso che, alla fine dell’Ottocento, fu adibito alla produzione di liquirizia e alla lavorazione della frutta secca, per poi essere trasformato, durante la Seconda Guerra Mondiale, in presidio militare e, infine, in sede del consorzio agrario. La trasformazione del sito in spazio d’arte ha permesso di creare un ambiente che si presta a esposizioni e a residenze d’artista ma che, soprattutto, entra in relazione con la realtà sociale. È questa, infatti, la mission della Fondazione, quella di coinvolgere il contesto circostante in un progetto che ha a cuore l’arte contemporanea, come diritto di tutti e mezzo per trasmettere i valori di identità, tutela e inclusione.
