Toti Amato il presidentissimo

Quali sono le novità e le attività che l’Ordine sta mettendo in atto dopo la crisi pandemica? Lo abbiamo chiesto al presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della città metropolitana di Palermo

Intervista

Per iniziare spieghiamo a chi non è del settore di cosa si occupa l’Ordine dei medici. “Con la legge n.3 del 2018, conosciuta anche come decreto Lorenzin, l’Ordine dei medici e le professioni sanitarie sono inquadrati tra gli enti pubblici, mentre sino a quel momento erano considerati enti privati di diritto pubblico. All’Ordine sono stati affidati dei compiti importanti come l’aggiornamento continuo dei medici attraverso i crediti, il cosiddetto ECM, e ancor di più la formazione, sino a poco tempo fa delegata all’Università. Ordine e Università però lavorano in sinergia, svolgono attività complementare, quindi le lauree sono di pertinenza universitaria ma il post laurea può essere di pertinenza dell’Ordine”.

 

Che cos’è il progetto di curvatura biomedica? “Abbiamo creato un buon rapporto a livello nazionale con i ministeri per organizzare percorsi di informazione-formazione attraverso lezioni teoriche e pratiche agli studenti. La curvatura biomedica è un corso di biologia orientata verso l’ambito medico, noi a Palermo da quattro anni, lo abbiamo intrapreso con gli studenti del triennio dei licei che sono interessati in merito. I ragazzi capiscono tutti gli aspetti della professione, vanno in sala operatoria, utilizzano direttamente le strumentazioni, e non sono mancati quelli che alla vista del sangue si sono ritirati decidendo di affrontare altri studi. Il corso è valido come credito, cioè titolo di merito per l’accesso all’Università”.

 

Un passaggio importante dell’alternanza scuola-lavoro.“È la sfida del medico di oggi, la formazione universitaria dura sei anni ma è sempre chiusa in un ambiente protetto nelle cliniche, oggi il medico deve sapersi muovere, il Covid ci ha insegnato che deve saper fare anche altro, non solo la diagnosi ma lavorare in team con le altre professioni sanitarie, e ancor di più servirsi di strumentazioni della telemedicina. Non tutti sono pronti a questo cambiamento, non è semplice alfabetizzare i medici e i pazienti che hanno più di 50 anni. È come imparare una nuova lingua utile per capire la medicina del domani. Non si deve rinunciare al rapporto visivo, al contatto fisico tra medico e paziente che resta sempre di primo livello, ma in alcune circostanze seguire a distanza una persona che già si conosce diventa un passaggio importante”.

 

Una sfida per la Sicilia. “Certamente, da presidente dell’Ordine dei Medici di Palermo, ma anche da coordinatore regionale, devo riconoscere un punto di merito alla nostra Regione. Normalmente la sanità in Sicilia viene vista male, noi abbiamo definito un progetto unico in Italia, il progetto Trinacria che ha ottenuto ampio consenso e riconoscimento. Di cosa si tratta? Sappiamo che ci sono molti paesi che distano più di 60 minuti dal più vicino ospedale. Serviva formare opportunamente diverse figure al primo soccorso, non solo i medici di famiglia ma anche alcuni dipendenti delle pubbliche amministrazioni individuati dai sindaci. Anche gli studenti hanno chiesto di essere preparati e abbiamo avuto un caso in una scuola media di una ragazza che ha salvato una compagna”.

 

Stiamo parlando di telemedicina, di sanità a chilometro zero. “La sanità di prossimità, stiamo partendo, è già stato decretato, ci occuperemo di telemedicina perché bisogna ridurre la distanza che è uno dei fattori di maggiore impatto nell’ambito della cura del paziente. Abbiamo invece la possibilità di avere una diagnosi e una cura in breve tempo grazie alla moderna tecnologia. Il trattamento della prima emergenza è un fatto culturale, non si può restare in attesa del 118, dobbiamo essere pronti, è un dovere civico e sociale: si può salvare una vita”.

 

Come è stata gestita la pandemia dalla Regione? “Partiamo da un dato, sino a ora del Covid sappiamo poco o niente e restano ancora alcuni dubbi sui vaccini. Dinanzi a una grande calamità come la pandemia si doveva intraprendere una strada, abbiamo seguito alcuni scienziati anche perché durante un’emergenza serve una guida, qualcuno che prenda delle decisioni. In Sicilia come in Europa e a livello internazionale, sono stati previsti questi grandi centri, gli Hub che hanno dato una loro risposta. Era sufficiente? Probabilmente no, perché non si è data importanza al territorio, che è la prossimità. I medici di medicina generale, gli specialisti ambulatoriali, i pediatri, non avevano né guanti né mascherine nella prima fase, e come dato nazionale, ci sono stati parecchi medici che sono deceduti. Noi dell’Ordine abbiamo distribuito i presidi sanitari, anche l’Assemblea regionale è intervenuta, abbiamo cercato di dare un segnale per partire. Tutto sommato la Regione Sicilia ha lavorato bene secondo gli standard fissati”.

 

I vaccini sono stati dati in maniera corretta, nelle quantità adeguate, ai medici di medicina generale e ai pediatri? “Tutto quello che è stato fatto nelle farmacie poteva essere fatto dagli specialisti ambulatoriali presso le Asp, quindi su questo qualche riflessione va fatta. Abbiamo a livello nazionale una querelle che probabilmente perderemo nei confronti delle farmacie che sono state utili durante la pandemia ma oggi fanno pressioni chiedendo di continuare a fare loro le vaccinazioni. Però un conto è l’emergenza altra cosa è la regola”.

 

C’è da dire che ci sono farmacie in ogni luogo mentre i medici mancano. “La riflessione che pongo a chi non è medico è: andare dal farmacista è facile e si ricevono anche dei consigli, ma chi conosce la patologia della persona è il medico, da qui nasce la mia perplessità e della federazione. Da un punto di vista etico, morale e deontologico il rapporto non è più medico-paziente ma diventa una triangolazione farmacista-medico-paziente. Domani anche altri possono entrare in questo rapporto e il medico che ci sta a fare? Cerchiamo di ragionare, questo è un trasferimento di competenza, ma le competenze si acquisiscono con un lungo percorso di studi. Un medico dopo sei anni di base, aggiunge altri tre, quattro o cinque anni per la specializzazione. Si possono trasferire queste competenze ad altre figure professionali pur degne della massima stima? Se avviene questo il farmacista potrà praticare un trattamento terapeutico anche senza il consenso del medico. La popolazione è contenta? Bene, ma se ne deve parlare, deve essere informata”.

 

Su questo la politica ci gioca? “Certo in quanto allarga il consenso dei voti dando ad altre figure un’attività nuova, ma il trasferimento di competenze, il transfer of skills, non è così facile da realizzare per legge. Sai fare, puoi fare, e che si deve fare, sono aspetti distinti e separati”.

 

Dobbiamo avere paura del vaiolo delle scimmie?

“Abbiamo avuto tante malattie, la viaria, l’ebola, oggi la vita è cambiata, il turismo di massa favorisce spostamenti e contagi. L’ultimo caso di vaiolo è stato in Somalia nel 1967, da allora si tolsero i vaccini, ora se ne riparla. Comincerei con il riprendere alcune sane abitudini di educazione civica, oggi siamo sempre più abituati alla promiscuità, baci, abbracci, si è meno accorti ma il contagio avviene se c’è un contatto diretto. Cominciamo con piccoli accorgimenti, lavarsi le mani prima di sedersi a tavola, non scambiarsi i bicchieri, e tanta attenzione all’uso dei cellulari e delle cuffiette con spugnette che sono terribili per trasportare virus, germi e parassiti. Un tempo c’era l’ornitosi psittacosi, una rara forma di polmonite portata da canarini, pappagalli e piccioni, l’abbiamo dimenticato; esiste la lebbra ma non è più biblica, c’è ancora la tubercolosi, insomma le malattie ci sono e ci difendiamo cominciando con la prevenzione primaria, occorre educare a un sano comportamento. E ritornare ad avere il medico nelle scuole”.

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