Roma ospita, a 170 anni dalla sua nascita, una eccezionale mostra dedicata al genio di Van Gogh. Attraverso le sue opere più celebri – tra le quali il famosissimo Autoritratto (1887) – dall’8 ottobre, un prestigioso evento racconta la storia di questo artista geniale in un luogo attraversato dalla storia, Palazzo Bonaparte, con una esposizione di opere che ne tracciano la tormentata esistenza.
Una personalità complessa di cui conosciamo più il risvolto letterario, la dolente follia ed i profondi turbamenti, piuttosto che l’evoluzione espressiva. Ricoveri, incontrollabili pulsioni autolesive e, alla fine, l’inappagato desiderio di quella pace, mai neanche lambita, che culminerà il 29 luglio 1890, a soli trentasette anni, con un suicidio, forse con negli occhi l’oro dei campi di Auvers.
Tragedia, dolore esistenziale, elettroshock, ma soprattutto Arte, arte sublime che prende corpo in ogni forma espressiva, ora nelle lettere al fratello Theo, o nella drammatica bellezza di un cielo stellato o ancora nel giallo solare dei campi di grano.
Il Museo Kröller-Müller di Otterlo, in Olanda, ha messo a disposizione della mostra di Roma ben 50 opere e preziose testimonianze biografiche che consentono ai tanti appassionati di comprenderne il lato umano e artistico.
Espressione del più puro mecenatismo, questa realtà museale detiene dal 1938 la più grande collezione di dipinti di Vincent Van Gogh, seconda solo al Van Gogh Museum ad Amsterdam, ma anche opere di Piet Mondrian, Bart van der Leck, Georges Seurat, Odilon Redon e Pablo Picasso, grazie ad Helene Kröller-Müller, grande collezionista d’arte del 900, che raccolse circa 300 lavori di Van Gogh, di cui aveva colto l’inesauribile capacità di comprendere la sofferenza e di dipingere il dolore, trascendendolo con stilemi artistici che inducono alla consolazione. Helene Kröller-Müller nel 1935 donò tutta la sua collezione al Comune di Otterlo, nella provincia della Gheldria dei Paesi Bassi, che a lei intitolò il museo.
Razionale e convincente il filo conduttore cronologico del percorso espositivo, strettamente connesso ai tempi ed ai luoghi nei quali l’artista visse: Olanda Parigi, Arles, St. Remy e Auvers-Sur-Oise, dove tutto ebbe fine.
La terra, i campi, i lavoratori deformati da una vita di fatiche, la sofferenza del prezzo da pagare per sopravvivere alla fame e alle privazioni…. Van Gogh interpreta la realtà e, in verità, ne denuncia l’impietoso lato oscuro, percependo il dramma irrisolto dell’ineluttabilità.
La mostra evidenzia ancora l’approfondimento cromatico maturato nel periodo parigino, vibrante di potenti fermenti innovativi che attraversavano le arti, le scienze e il costume e in cui si elaboravano nuove creatività e linguaggi figurativi .
Nuove vibrazioni che indurranno Vincent a un lessico espressivo più intenso ed appassionato, dove l’emozione diventa colore, tragico ed abbagliante, come la solarità del sud della Francia .
Tutto in Van Gogh assume una connotazione estrema, come la luminosità di Arles che rimuove ogni limite alla lettura cromatica della realtà e della natura. In ogni oggetto della sua visione, il colore dalle intensità totalizzanti diventa chiave di lettura esistenziale, come se gli usuali cromatismi non disponessero di forza espressiva adeguata.
Dopo questo susseguirsi tumultuoso di emozioni, resta negli occhi e nel cuore del visitatore della mostra di Van Gogh la percezione che “il suo valore non sia solo nei mezzi espressivi, nella sua tecnica, ma piuttosto nella sua grande e nuova umanità”, come ricorda Ellen Kröller-Müller.