Chiudi gli occhi e lasciati trasportare dall’odore pungente dell’assenzio che, come una poesia, favorisce l’amore, diceva Oscar Wilde. Un liquore romanticamente chiamato “fata verde” per il suo tipico colore verde dalle mille sfumature che ricorda uno smeraldo, intenso e brillante come quello delle antiche pozioni magiche che narrano di arcani sortilegi. Il suo aroma di anice stellato e liquirizia, a tratti legnoso e balsamico, ti condurrà fino al civico 3, all’angolo con Rua da Prata, dove si apre la porta tinteggiata di ottanio del Martinho da Arcada, il più antico cafè di Lisbona che guarda il fiume Tago di una città illuminata dal sole 290 giorni all’anno.
Sono molte le storie che il Cafè più antico della capitale ha conservato tra le sue mura da quando è stato inaugurato il 7 gennaio del 1782, racconti di genialità e inchiostro legati alla letteratura portoghese, perché il bicentenario Martinho da Arcada è stato il salotto di artisti, scrittori, pittori e illustri personaggi che godevano della lucida ebbrezza dell’assenzio che apriva a nuove visioni e a sensazioni uniche. Una sorta di euforia senza ubriachezza che piaceva e inebriava anche un poeta e critico portoghese che in cerca di ispirazione artistica amava trascorrere i suoi pomeriggi seduto al tavolo del cafè, a bere il liquore maledetto rovistando nella sua affollata solitudine. Oggi c’è chi fa la fila per fare una foto a quel tavolo, autorevole memoria di un assiduo cliente, esaltato genio che sembra ancora attendere.
Era Fernando António Nogueira Pessoa, poeta, drammaturgo, critico letterario, astrologo, uno dei principali autori del modernismo portoghese che del cafè Martinho da Arcada ne aveva fatto la sua seconda casa, lo studio dove si inebriava di assenzio in compagnia di amici e dove animava Bernardo Soares, Álvaro de Campos, Ricardo Reis e Alberto Caeiro, i suoi più cari eteronimi, veri e propri alter ego poetici ossessionati dalla ricerca dell’identità. Pare che la meravigliosa metafora poetica dei versi che compongono “Messaggio” e molte pagine del “Libro dell’inquietudine” siano nate al tavolo del Martinho con un copo di “fata verde” in mano, lo stesso tavolo che negli anni successivi fu riservato a Josè Saramago, il romanziere maggiormente dotato di talento, uno degli ultimi titani di un genere letterario in via di estinzione, definito cosi dal celebre critico letterario, Harold Bloom
Ancora oggi, a 87 anni dalla morte di Pessoa, le fotografie che decorano le pareti e contrastano con le bellissime piastrelle bianche, attestano le lunghe ore pomeridiane trascorse tra pensieri, poesie e conversazioni dal più grande scrittore portoghese del XX secolo.
Il Café Martinho da Arcada, con la sua storia servita con l’eccellenza irreprensibile di sempre, esiste da quasi 240 anni e con orgoglio continua ad essere Uma casa portuguesa com certeza in riferimento alla canzone resa celebre da Amàlia Rodriguez, di sangue Fado, scritta da Reinaldo Edgar Ferreira, un giovanissimo poeta censurato dalla dittatura di Salazar, morto ancor prima di sapere di avere realizzato un’opera breve ma così forte tanto da essere paragonato a Pessoa.
Un tempo destinato all’area cucina, oggi sul lungo bancone del caffè, sulla parete di fronte all’ingresso, quasi a dare il benvenuto nel mitico luogo della memoria collettiva, si trova un grande pannello rettangolare in maiolica raffigurante una scena di cucina di fine ‘700, che immortala la preparazione di storiche prelibatezze culinarie, indifferenti alla globalizzazione che prevale in Europa, concentrate sull’identità nazionale. Al Martinho, dunque, si incrociano profumi di tortini di baccalà, pesciolini fritti, vongole veraci “Bulhão Pato”, riso all’anatra, baccalà alla lagareiro, bistecca alla Martinho con quelli dolci e deliziosi del budino di riso, della panna al latte e del pastel de Belèm o de Nata con la sua crema che profuma di limone e cannella, cuore morbido di una tartellette di pasta sfoglia croccante, che rimanda alle mani in pasta di monaci portoghesi che dei conventi ne avevano fatto pasticcerie.
Intensi odori che vagano sotto i portici di Praça do Comércio dove ad opera del marchese di Pombal, alla guida di una città devastata dal terremoto del 1755, si inaugurò il Cafè Martinho da Arcada, ristrutturato secondo modelli all’avanguardia dell’urbanistica settecentesca, con i suoi tavoli che attendono sotto un cielo di archi secolari di una piazza magica, la principale di Lisbona, un tempo chiamata Terreiro do Paço.
Dopo avere goduto dell’invidiabile patrimonio architettonico e culturale a bordo delle stridenti carrozze gialle e bianche del vintage tram 28, passando dall’elegante Chiado e dall’alternativo Bairro Alto, quartieri di una Lisboa più bohemia, attraverso la vecchia Baixa pombalina, simbolo della rinascita della capitale, con le sue vie intitolate agli antichi mestieri e preziosi metalli, la memoria dell’odore pungente dell’assenzio ti porterà, dunque, al Cafè più antico di Lisbona, dove tutto conduce a ritroso in quello che fu un “santuario” della memoria culturale.
Seduto al tavolo di Pessoa, dove insieme al poeta Augusto Ferreira Leal, scrivevano articoli per le riviste Orpheu, Contemporânea e Athena, sotto i portici del Martinho da Arcada, si resta folgorati dalla bellezza dell’imponenza dei settantanove archi che delimitano Praça do Comércio, ingresso nobiliare della città attraverso la scalinata marmorea del Cais das Colunas, con le sue due colonne che ricordano quelle del tempio di Salomone, inno alla saggezza e alla devozione, installate sui gradini di marmo che si tuffano nel blu del fiume Tago in perenne attesa di ricevere l’antica nobiltà in arrivo a bordo dei battelli e che ricordano ancora la regale salita di Elisabetta II.
Martinho da Arcada è uno spazio senza tempo che racconta un tempo, e lo sa bene lo scrittore Luis Machado che per festeggiare i quasi due secoli e mezzo di vita dello storico Cafè, lo scorso anno gli ha dedicato un libro, “Martinho de Arcada, un Cafè di tutti noi” dove l’autore riporta le tappe più significative di un luogo calpestato non solo da Fernando Pessoa, il più assiduo ospite, ma anche da scrittori come Bocage, Lopes de Mendonça, Cesário Verde, Augusto Ferreira Gomes, António Botto, Almada Negreiros, Antoine Saint-Exupery, dal fotografo Man Ray e dalla ballerina Josephine Baker, durante i loro soggiorni a Lisbona. L’opera di Machado contestualizza date e nomi che hanno segnato la storia del Cafè e sfogliando le sue 124 pagine illustrate da fotografie d’epoca e attuali, emergono alcuni episodi curiosi, fino ad ora poco conosciuti, disegnando una Lisbona impossibile senza il Martinho de Arcade, teatro di passaggi memorabili.
Vivo sempre nel presente. Non conosco il futuro. Non ho più il passato. L’uno mi pesa come la possibilità di tutto, l’altro come la realtà di nulla. Non ho speranze né nostalgie.
Fernando Pessoa dal Libro dell’inquietudine