"Tutto cambia, perchè nulla cambi".
L’enigmaticità di questa frase, matrice di ogni cambiamento, divenuto forma di convivenza nell’Italia post-unitaria, riassume le pagine di un raro gioiello della letteratura italiana: “Il Gattopardo”, l’affascinante romanzo del principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, successo postumo di un’icona della sicilianità.
Dopo la morte di Lampedusa, nell’autunno del 1958, grazie agli sforzi di un altro straordinario scrittore italiano, Giorgio Bassani, la casa editrice Einaudi pubblica “Il Gattopardo”, premio Strega nel 1959, che sarà tradotto in quasi tutte le lingue.
A fare da scenario di fondo, la Spedizione dei Mille, uno degli episodi più cruciali del Risorgimento che diede vita alla nuova borghesia e segnò il tramonto dell’aristocrazia, stravolgedo la visione del principe di Lampedusa che nell’aristocrazia vedeva una classe dirigente, una istituzione inevitabile di ogni società. Ed è a cavallo di questi due mondi che il principe di Salina, Don Fabrizio Corbera, duca di Querceta, marchese di Donnafugata, protagonista del romanzo, assiste al cambiamento della Sicilia, e in uno dei più significativi ed emblematici monologhi, dice: “Noi fummo i Gattopardi, i leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueranno a crederci il sale della terra”.

Emerge così, l’antitesi di un nuovo periodo storico, il dualismo tra immobilità e cambiamento che porterà all’Unità d’Italia. Tema eternamente attuale, tanto che nell’uso linguistico, quando si parla di “gattopardiano” ci si riferisce a chi si adatta ai cambiamenti in atto, dando a vedere di apprezzarli e sostenerli, ma solo per potere conservare i propri privilegi.
Triste storia di un successo che il suo autore non conobbe mai, ma adesso “Il Gattopardo”, capolavoro letterario che utilizza nello stemma araldico del casato di fantasia dei Salina, l’immagine del leopardo rampande appartenente ai Tomasi di Lampedusa, diventerà una serie tv, trasmessa in esclusiva su Netflix.
Le aspettative sono tante, così come pesante è l’eredità cinematografica del “Gattopardo” diretto magistralmente da Luchino Visconti nel 1963, che resta uno dei film più iconici della cinematografia italiana. Vincitore di un David di Donatello e, soprattutto, della Palma d’Oro al Festival di Cannes di quell’anno, resta indelebile nella memoria, il cast eccezionale di celebrità: Burt Lancaster, nel personaggio del principe Fabrizio di Salina, Claudia Cardinale, in quello della bellissima Angelica e Alain Delon in un Tancredi irresistibile nipote prediletto del Principe.
Adesso, “Il Gattopardo” si prepara alla trasposizione seriale sulla piattaforma internazionale Netflix. Un progetto ambizioso con la regia di Tom Shankland, regista, produttore e sceneggiatore inglese, che ha intenzione di riscoprire “tutta la modernità del racconto”. Sulla scelta degli attori protagonisti vige il più assoluto top secret.
”Mio padre era professore di italiano – ha detto Shankland – e il romanzo di Tomasi di Lampedusa era il suo libro preferito. Abbiamo fatto molti viaggi in Sicilia ispirati al libro e al film del maestro Visconti. Trovo che come ogni classico sia adattabile a ogni nuova generazione perchè possiede tante storie da raccontare, come quelle delle numerose donne che lo attraversano”.
Di sicuro le riprese si svolgeranno in Sicilia, probabilmente in quelle location già viste nel capolavoro di Visconti, ma la ricerca di originalità di Shankland, solleva dubbi e perplesssità.
Certo è, che sarà difficile trovare una modernità nella iconica scena simbolo del ballo che, sulle note del Valzer brillante di Giuseppe Verdi, vede danzare insieme una vecchia aristocrazia, ormai in decadenza, con una nuova borghesia, rappresentazione del futuro dell’Italia. Nel 1963, gli allestimenti della scena, girata a Palazzo Valguarnera-Ganci, residenza storica settecentesca palermitana, furono curati dallo stesso Visconti, tanto da meritarsi il “Nastro d’Argento” per la scenografia. Chissà se Shankland ci riporterà agli antichi fasti di Luchino. Restiamo in trepidante attesa.